Il lato umano del data marketing: il rebranding Fospha
Recentemente abbiamo lavorato con il provider indipendente Fospha per creare una nuova visual identity in occasione del loro rebranding. In questa intervista ad ampio raggio Fay Miller, Chief Marketing Officer, ci parla del loro approccio al rebranding, del perché anche gli esperti di data marketing debbano essere percepiti come “umani”, di come il GDPR faccia bene agli affari e del vantaggio distintivo che i brand più classici hanno ancora rispetto ai nativi dell’era digitale.
Come vi siete avvicinati al progetto di rebranding?
Quello del data science è un settore emozionante, ma per i clienti può essere difficile capire come possa riguardare la loro attività. Quindi, quando ci siamo dedicati al rebranding abbiamo pensato prima ai nostri clienti: di cosa hanno bisogno, quali problemi stiamo cercando di risolvere per loro e qual è il modo migliore per coinvolgerli.
Abbiamo così scoperto che le persone erano interessate alla Multi-Touch Attribution (MTA), che viene usata per determinare i punti di forza e di debolezza del marketing nei vari canali. Noi seguiamo anche progetti personalizzati di data science e abbiamo cercato di capire come i clienti potessero usare l’Intelligenza Artificiale, così ci siamo convinti che la MTA fosse il giusto punto di partenza.
Avendo due tipi diversi di clienti, abbiamo deciso di creare due brand: Fospha Marketing e Fospha Data Services. Data Services gestisce le attività di consulenza e i progetti personalizzati quando le persone sanno quello che vogliono e noi riusciamo ad aiutarle. Fospha Marketing guarda a problemi specifici risolti tramite l’attribuzione, in gran parte grazie a MTA e MMM (Media Mix Modeling).
Il rebranding riguardava solo la comunicazione esterna?
La creazione di questi due brand ci ha permesso di fare chiarezza su come posizionarci sul mercato, ma quello era solo il primo passo. Poi abbiamo capito che dovevamo occuparci anche dei nostri prodotti. Dovevamo facilitare la relazione tra questi e i nostri clienti, ecco perché abbiamo deciso di ripensare il packaging e il posizionamento di prodotti come CDP (la nostra Customer Data Platform), MTA e MMM.
È a questo che si riferivano i nostri art director Paola Taccardi e Thiago Taniguchi quando parlavano di approccio al prodotto nel blog di Fospha?
Per “product-first” penso si intenda che stiamo cercando di promuovere l’Intelligenza Artificiale e il data science in modo che abbiano un significato per i team marketing con cui lavoriamo. Qualcosa cui possano fare riferimento e usare per dare un valore aggiunto al proprio business.
Un modo per farlo è tramite il nostro periodo di prova di 90 giorni. Possiamo passare dall’integrazione di una nuova soluzione ad avere risultati da implementare in soli 30 giorni e consegnare entro tre mesi un prodotto MTA. I clienti possono creare un business case per mostrare alla propria azienda il risparmio di tempo e denaro e i vantaggi per l’attività. A quel punto, se non percepisce un valore effettivo, è il cliente a decidere e noi ci facciamo da parte. Ma non succede spesso: abbiamo una percentuale molto alta di clienti soddisfatti.
Al vostro livello, i marketer sono davvero molto esperti – oggi siamo tutti data scientist, in un certo senso. È ancora necessario provare a comunicare il lato umano del business come state cercando di fare?
Penso sia incredibilmente importante mostrare il lato umano. I progetti su cui lavoriamo in Fospha sono dettati dal data science dell’AI, il che suona molto “automatizzato”, ma un’ampia componente di quello che facciamo è svolta da persone. Le persone sono la nostra risorsa più preziosa e lavorano alla tecnologia.
Per quanto riguarda i nostri clienti, i responsabili marketing devono gestire davvero un’ampia gamma di attività, dalla raccolta dati alla distribuzione dei contenuti e altro, e nelle aziende con cui abbiamo lavorato queste attività non sono indipendenti tra loro. I responsabili marketing hanno bisogno di strumenti per essere efficaci e per questo servono partner che possano aiutarli a ridurre i compiti manuali. Ma penso che la cosa interessante della Multi-Touch Attribution e del Marketing Mix Modeling è che si tratta di software SaaS (Software as a service) e non sarà mai solo una questione di user interface, ovvero ci saranno sempre partner – quindi persone – coinvolte.
Lavoriamo con una varietà di aziende a livelli differenti di maturità dei dati, esigenze e scelte di prodotto. È un viaggio e c’è una destinazione, ma non tutte le attività ci arrivano nello stesso momento.
Capire questo significa avere bisogno di qualcuno all’altro capo del telefono che possa parlare col cliente e spiegare le insight oppure approfondirle. Le persone supportano la tecnologia: penso sia questo che ci rende diversi.
E proprio questa è una delle cose che ci sono piaciute del lavoro con voi in Moskito Design. Lavoriamo in collaborazione con i nostri clienti finché il progetto non è concluso e penso che in Moskito abbiate esattamente questo approccio, una relazione professionale. È una cosa inestimabile. Le agenzie che offrono questo livello di servizio e che rimangono al tuo fianco sono veramente più uniche che rare.
Puoi dirmi di più su come ci hai conosciuti e su com’è andato il progetto?
Avevo collaborato con voi quando ero in Facebook e avete sempre presentato un lavoro così impeccabile, nel pieno rispetto del brief, che per me era quasi una scelta obbligata. Avete un approccio davvero diverso e nuovo, perché dietro il design c’è un lavoro di concetto. È bello avere un partner che si prende il tempo di riflettere pur restando allineato con il settore tech.
Siete anche in grado di tradurre cose complesse in visual semplici e penso che questo sia uno dei punti di forza che ci ha spinti a lavorare con voi. Avete una passione genuina per il design e riuscite a realizzare tutto facendo fronte alle modifiche che vengono spesso richieste.
Quindi a volte ciò che distingue un provider di servizi potrebbe essere proprio la cara vecchia assistenza clienti?
È buffo, ma a volte nel marketing è tutto un “è nuovo!”, “è nuovo!”, quando in realtà si tratta della solita cosa con una nuova etichetta messa sopra. Tutti si evolvono rispetto ai dati, ma i dati ci sono sempre stati, si è sempre trattato di direct marketing. Solo che ora è digitale.
Una cosa però è davvero cambiata – e questa è la novità vera. Prima si tenevano tutti i dati in un posto solo: la complessità di adesso è che sono ovunque con diversi team e agenzie che non necessariamente comunicano tra loro. Si tratta quindi di semplificare tutto, invogliare le persone a collaborare di più, ridurre le barriere e portare maggior visibilità. Questo è il non plus ultra. Non sto dicendo che possiamo farlo, ma almeno possiamo aiutare le aziende a fare passi avanti verso quell’obiettivo.
Di recente ho letto che dovremmo togliere il lato digital dal marketing. Oggi il digital non è qualcosa di opzionale nel marketing, è il marketing stesso.
Sono totalmente d’accordo. Perché se parti dal consumatore, per lui non si tratta di online o di offline, si tratta solo di un’interazione con il tuo brand. E il modo in cui ti presenti attraverso tutti i canali e i contenuti deve essere intelligente e coinvolgente, ma anche sempre più personalizzato. Quindi sì, sono d’accordo.
Che tipo di impatto sta avendo il GDPR (il regolamento europeo generale sulla protezione dei dati) su ciò che fate?
Penso che il GDPR sia una cosa positiva.
Davvero?
Sì, perché finalmente le persone possono smettere di essere ossessionate dai dati che non hanno e iniziare a pensare a quelli che hanno e a cosa possono fare con questi. Il GDPR è positivo per i consumatori, quindi sarà positivo per tutti, perché penso che nel caos che esisteva prima ci siano state un sacco di esperienze molto negative, come il frequency capping e altro. Ora i brand devono usare i dati in modo più efficiente per creare engagement: è davvero un’ottima cosa.
A livello del consumatore, pensi che la protezione dei dati possa aiutare le persone a distinguere i brand degni di fiducia da quelli che non lo sono?
Assolutamente sì. Le persone vogliono solo interagire con i brand di cui si fidano e con cui possono costruire relazioni. Alcune tra le aziende meno conosciute, in particolare quelle tech, non hanno sempre pensato al brand che stavano costruendo e alla sua percezione sul mercato.